lunedì 4 settembre 2017

"Quel tipo è troppo abbronzato." - SPECIALE RUBRICA ESTIVA #8. Chi l'ha detto che il jazz non è di Satana? e altre vanvere



Ljapah batte la fiacca (che non è un proverbio finlandese). Pertanto mi tocca di poggiare il culo alla sudata scrivania e momentaneamente mollare inderogabili impegni di cosmica rilevanza, nnaggiacristo.
Vediamo... Cosa consigliare ora, nell'esatto momento della ripresa dall'august blues e del ritorno alle stagionali mansioni monetifere (beati voi in tal caso)?...
Forse un triplete di albummi belli maligni, che sotto una gioviale doccia di polvere pirica e sangue di porco ci riportino al mood autunnal-negromantico che è la base per ogni spirito Metalzovista? ...Mbè? Famo na tripletta lesta lesta allora?
Sì dai, che c'ho una maratona di Gravity Falls da proseguire.



Hors-d'œuvre:   Bohren & der Club of Gore - Black Earth (2002)


Ollà, si aprano le danze! Con il nero catrame percolante direttamente dalle pudenda dell'Avversario in persona, ma perfettamente amalgamato ai toni suadenti di un fumoso club jazzistico di Baden-Baden, i Bohren & der Club of Gore ci regalano un'ora abbondante di obscure jazz all'ennesima potenza; un disco che casca a fagiolo per una loschissima nottata di sigarette accartocciate a rimirare ectoplasmi di fumo al barbaglio di una luna di cobalto, a guardare film òror de paura senza audio e, perchènnò, a lasciarsi andare, ogni tanto, alla sensualità che questo genere di musica riesce a emanare a fiumi e chi ci capisce è bravo, ostiàsa. Un tappeto minimale di contrabbasso e batteria al passo di tank su cui fioriscono con moderazione giretti di tastiere eterei e avvolgenti e caldissime, posatissime frasi di sax.
E quindi, come direbbe il collega Sancio, porcamadonna che buono è.
Se Victoria (2015) di Sebastian Schipper fosse stato girato a Vienna nel 1930, ci sarebbe sta roba sotto tutto il tempo.



Carnazza:   Diamanda Galàs - All the way (2017)


Ed eccolo, ECCOLO, alla fine, dioboia, che mi leccavo le dita da parecchio tempo ascoltando codesta traccia sul Tubo, sperando che la Diamandona ci deliziasse di un bell'albumme live con tutti i clismi ove ritrovare questo gioiello. E bòn, niente che si discosti molto dalla recente produzione di questa meraviglia della natura; ormai sappiamo già in partenza all'annuncio di una release della bella Serpentona che si tratterà o di cover di gospel o di cover di standard jazz, alternati ad installazioni perturbanti in cattedrali a spasso per l'Europa, lì dove l'arte performativa incontra il signor Lovecraft e gli dice "E' sua la Quattro Stagioni per celiaci?"
La Galàs ci trastulla e terrorizza nell'intimo come suo solito, stavolta ridisegnando classici immensi della tradizione jazz e pietre angolari del blues (dalla All the way eponima a The thrill is gone, alla magistrale Round midnight di amoredimamma Thelonius Monk) e trasformandoli nei consueti lamenti da creatura del mondo inferiore, trasfigurazione di cui ha già dato prova d'avere un talento senza eguali al mondo, combinando - come se non bastasse - una potenza della voce sensazionale ad un eclettismo mutaformante commovente e prodigioso che spazia, nell'arco di un accento, dal salmodiare chiocciante al trillo della sirena sventrata.
Se la Galàs che canta You don't know what love is non vi fa tremare come una fogliolina probabilmente avete le orecchie foderate di merda, non è che lo decido io.
Disco cortino, ma contando che è uscito lo stesso giorno di un altro discozzo - sempre della Diamanda bbella ciaciòna nostra - direi che ci va di lusso no?



Caffettino e oppio:   Current 93 - Nature Unveiled (1984)


Grossomodo è un concept su Maldoror.
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Ho detto: grossomodo è un concept su Maldoror.
Mi pare d'aver detto quanto serve.
Facile ironia a parte, è difficile commentare un album-fiume come questo. Un miasma in forma di solchi incisi, fluente, cavernoso, brumoso, quasi inafferrabile, fatto di urla belluine e concatenazioni di sibili e ronzii disagianti, echi di grotte orrorifiche, mantra e tamburi cimmeri, una vera batteria di guerra dichiarata alle nostre orecchie che si dispiega in 8 tracce interminabili, al limite della sopportazione (e per noi quindi molto appetitose); e il tutto è da imputarsi al diluvio di marciume che il cervello mutilato di David Tibet assembla quando, presumo, non guarda il Motomondiale o non legge la sezione Risate a denti stretti della Settimana Enigmistica. Un'interessante esasperazione di quel filone (è un filone poi?) che è il figlio incestuoso e folle del rivoltante amplesso tra post-punk, gothic, l'industrial più sconcertante e una forma larvale di obscure folk che gnàmmete gnàm.
Questo commento non è un'iperbole: si parla davvero di un ammasso di dissonanze sfasate e gorgoglii ributtanti di carcasse che fumigano in un pozzo di merda di animali. Ma fatto coi contromarroni.
I contenuti ci sono, i sudori freddi ci sono e anche oggi si va a casa coi demonazzi sulla schiena.

A risentirci con le ultime 2 puntate di sta cazzo di rubrica delle mie balle del merda di dio


Il vostro dio cancaro
Zio Carne

- niente dati, lo staff è distratto da perline colorate -