lunedì 18 aprile 2016

The importance of being Pierpaolo, ovvero Il Teatro degli Orrori - ITDO(ccan) (2015)





Lasciate stare gli Slint dio mostro

Il vostro inalberato
Zio Carne
















P.S. Ça va sans dire che se non avessi letto Slint nella tracklist manco ci avrei messo il muso in questo guazzabuglio, e vi sareste risparmiati un minchia di articolo. Dice il saggio: "Quando il maccarone provoca l'Alberto Sordi..."
P.P.S. Qua siamo in territorio di alto tradimento. Appare con dolorosa chiarezza che d'ora in avanti ci conviene a tutti fare ammenda e recuperare ben altri Pierpaoli che hanno davvero fatto la storia della cultura del nostro Paese.
P.P.P.S. Sì, lo so, è troppo facile la rece di una riga e il far sfoggio di un'ermeneutica così pedestre, superficiale e odiosa nel suo voler essere fintamente sagace ma hei!, queste caratteristiche calzano a pennello anche al disco in questione!
Al Teatro va comunque il plauso di essere riusciti a confezionare un prodotto capace di farmi venire la schiuma alla bocca.
Nelle pause in cui non mi stava ridendo il cazzo.
E niente, cosa volete che dica davanti a sta sbobba? La recensione si ferma qui, perchè questo disco è privo di qualsivoglia nobiltà, grazia, acume, poesia, è pappone riscaldato della peggior risma, non ha pressochè un cazzo da dire; gli strumenti (forse il vero tratto vincente sin dal primo disco ma oh, ero un pischello e mi lasciavo trascinare dalla cultura della ddddròca & dello sballo facile), gli strumenti, dicevo, qui si limitano a fare le foche ammaestrate su un guazzetto di carambolate retoriche spippettone emesse da un Capovilla ormai fuori controllo, del tutto divorato da una psicosi di protagonismo che ogni particella dell'album sommerge, òbera, vitupera, inaridisce, raffredda, sterilizza - cosa gravissima per un progetto che in partenza faceva così preponderantemente leva su una furia, su un pathos, su un sound sanguigno e acre che nell'anno del Signore Cane 2007 ci scompigliò gli scroti e ci diede un'imprevista scoppinata generazionale, insomma vi ricordate che Dell'impero delle Tenebre fu quasi come toccare la passera per la prima volta no? [e metteteci un 'quasi' grosso quanto il wannabismo del Capovilla] ...Qua niente, la spocchia traspira incontrastata e impesta ogni anfratto, avvelenando pure gli spunti più genuini e/o godibili (ma ops!,in questo caso non ce ne sono). Quindi ripeto: basta, non vado oltre, non spreco più fiato per un album che non fa altro che pontificare sul cazzo e sulla merda, riproponendo un suono purtroppo stantio, spostando giusto due pilucchi qua e là dai riff degli sfavillanti esordi, dispensando occhiolini e propinando una replica insipida e per di più inutilmente (ah, l'ironia!) convertita in semi-zarra (gli effettini elettronici della minchia sono imperdonabili, mi dispiace ma propio 'un gliela fo), un pallido e astenico facsimile di ciò che in passato il supergruppo aveva dimostrato di saper tirar fuori. Ci troviamo al cospetto dell'equivalente artistico di una rapa in coma farmacologico; questo album è anemico, diafano, smunto, un nanerottolo sinistroide saputello che si dimena agitando davanti a sè un gran mascherone variopinto di spirito alternative, ma che in realtà parla solo a se stesso e che non mira ad altro che a ingraziarsi i soliti elogi dell'onnipresente intellighenzia italo-indie-letame. La quale ringrazia e applaude, e giù il grugno nel consueto piatto di zuppa alla merda al microonde. E' questo che mi da fastidio alla fin fine: l'operare su se stessi un programma di banalizzazione e svilimento della propria arte mascherandolo da consapevolezza della propria maturità artistica e sborate affini, portando avanti il tutto con un'ingenuità e una sfacciataggine che davvero mi lasciano basito. Ancor più incredibile, se si ragiona che il suono à la Teatro degli esordi è uno di quelli che non conta praticamente emuli nè scopiazzature eclatanti dal 2007 in poi: erano rimasti una felice eccezione, ma è venuto a mancare qualcosa, coraggio e rabbia prima di tutto. Sono riusciti nella dura impresa di autoinflazionarsi (italica musica docet); se siete stati amanti del gruppo in esame tanto quanto il sottoscritto capirete bene di che sensazione parlo. Dove una volta vedevo amore e struggimento e furia e urgenza poetica ora vedo pigrizia, cocchi. E attitudine da omini sentenziosi.
E io le mani le tengo in tasca, dove non c'è rischio che battano.
E dovevate lasciar stare gli Slint.

Ora vi saluto stronzini, stanotte sono di turno a far la guardia in redazione e già sento grattare nei condotti dell'aria, vuoi vedere che il Ba'al Shem Tov si è di nuovo aperto un varco nella gabbietta.
Ah, e un bel    P O R C O D I O    a tutti, che oggi s'è stati a dieta!

Il Teatro degli Orrori - ITDO / 2015 / La Tempesta Dischi

martedì 12 aprile 2016

Strambi e pagani, i bielorussi nell'insospettabile '97: Gods Tower - The Turns

Può anche darsi che, più che tornarci, il paganesimo in Bielorussia non se ne sia mai andato. Chiesa ortodossa e ateismo di stato i coglioni di frate cazzo, vuoi che nelle sterminate campagne non ci stessero rintanati da qualche parte una statua lignea, un sacello, un boschetto dedicati a Perun? Che minchia zappi la terra a fare se non hai la protezione di un dio del fulmine? Chi vuoi che te la mandi la pioggia?
La questione è più che chiusa dopo aver ascoltato un gruppo che l'ha fatta da protagonista nelle mie deprecabili serate da solstizio invernale di non ricordo che anno, so che nevicava sui boschi e sui fienili e un'euforia diffusa esalava dal sangue di Kvasir. Ma riprendiamo il filo. Dicevamo che questi signori slavi, i Gods Tower, fanno metallo, di quello pagano, e non so che altro dire. E questo perchè suonano una musica tutta loro, specialmente nell'inimitabile The Turns. Quando lo ascoltai per la prima volta mi montò le cervella a neve, e di certo fu coadiuvato dalla broda che i fratelli Fjalar e Galar ci avevano preparato dopo cena, cionondimeno non mi risulta esistano altri lavori tanto personali nel panorama vichingo/pagano/folclorico che segue a Bathory negli anni '90. Qualcuno dirà meno male (forse anch'io), però mi ritrovo tra le mani otto tracce che non so a cosa paragonare. Già osservando la copertina... chi ci ha mai capito una fava? Boh, una sorta di svastica (o di ruota solare, per i più delicati) fatta di serpenti con delle rune scritte sopra, mah... chissà... posso assicurare che possedendo fisicamente l'album e scrutando da vicino non cambia nulla: rimane una copertina astrusa, che non se ne esce.
La musica invece regala grandi emozioni e non appena parte comincia il disorientamento: le chitarre sono fuori dal comune, strambe, molto personali e funzionano alla grande, un esempio per tutti è "Seven Rains of Fire", e anche quella dopo perché no; il cantato è sgraziato, alla pescivendola, a tratti ricorda il compianto Lemmy, poi accenna a uno scream e d'improvviso si pulisce risultando forse impacciato ma piacevole; le tastiere si infiltrano nei momenti giusti e accentuano il senso di straniamento aprendo scorci epici; la batteria è appropriata, potente e marziale, ma niente di più. Il ritmo dell'album ricorda a volte il Doom ma, a scanso di equivoci, nessuno pensi ai nostrani Doomsword, semplicemente sti bielorussi non van veloci, a volte si baloccano con l'epos a volte no, a volte accelerano brevemente come in "Blood".
Rimane da capire cosa centri quest'album col paganesimo. Bella domanda. Non mi ci raccapezzo... I testi stanno molto sul generico e la musica mi resta tutto sommato insondabile nonostante contenga piacevolissimi accenti folk, come in "Rising Arrows" dove il cantante pare ineggiare al Grande Spirito. Che l'anima pagana del disco risieda proprio nella tanto vituperata copertina? Rune e serpenti ammucchiati alla brutto dio in un antichissimo simbolo solare, mmm, può essere, può essere...

Ingroppato da Svantevit, con affetto

S. Mattanza

Gods Tower - The Turns / 1997 / MetalAgen

martedì 5 aprile 2016

Il Notturno di Aaron Turner. SUMAC - The Deal (2015)



Gioia e jjubilo, Aaron Turner è ancora depresso!
A quanto pare la cara mogliettina Faith non riesce a imbroccare un'amatriciana che sia una, o più probabilmente i demonazzi che lo esasperavano già all'epoca in cui capitanava i mai abbastanza lodati Isis reclamano tuttora il loro retaggio di angoscia terremoto&traggedia e madonnasantoddio.
Certo è che le condizioni in cui ha versato la sua amata e coccolata creatura (la Hydrahead Records, nel caso abbiate abitato dentro una scarpa negli anni duemila) non devono aver aiutato, ma cristobastardone!, se questo è il risultato io spero solo in nuove mirabolanti disgrazie per il nostro sempremesto Aaron! :) Ma ciancio alle bande e principiamo.
Oggi si parla dei Sumac, ultima declinazione artistica dell'orsacchiotto post-metal anticristoso più ganzo di Boston. Progetto scarno sin dal nome (una spezia? Sul serio ma che cazzo è) così come nella scelta della lineup: chitarra e batteria, con un bassista-mezzo-turnista malandrino che non si sa bene quanto ce la racconta giusta gnèhhè. Scabro, lapidario pure il titolo. Dù parole.
Premetto che, da bravo scettico Isista (Isisiano? Isìaco?), accolsi con tiepidità l'annuncio della primerrima release di questo power trio guidato dall'ex capitano di ventura del quintetto che lungo lo scorso decennio ha ridato uno spessore e una dignità impensabile ad una corrente, il post-sludge più atmosferico, che sembrava aver già trovato i suoi unici araldi cosmici nei Neurosis (prossimamente su questa melma). Mi chiusi d'istinto a riccio, un po' perchè ritengo che gli Isis abbiano agevolmente detto tutto ciò che dovevano; i loro tre dischi pilastro dell'inquietudine antimodernista e dello scoramento generale (Celestial, Oceanic e Panopticon), incisivi, ultratematici e tanto freddi da far venire i geloni alle orecchie, sarebbero già stati sufficienti ad elevarli a figure culto della scena per un'intera decade; mi schermii, infine, perchè mi rugava con veemenza la minchia dato che dioboja davvero un altro gruppo con sonorità à la Isis? Dall'alto della mia placidità di vecchio stronzo non lo avrei ritenuto necessario, ecco tutto. Aggiungiamo al suddetto sentimento una a parer mio lecita perplessità per i titoli abbastanza agiografici e stucchevoli (diciamolo, POST ROCK) di alcuni pezzi, uno su tutti Thorn in the lion's paw, che hanno il potere tutto singolare di precipitare l'hype (e i coioni) anche del fan più bendisposto in quella fredda e molliccia consapevolezza che a naso sa tanto di 'dio-sperma-ma-dai-ma-checcazzo-è-il-solito-disco-dei-Collapse-Under-The-Empire-o-band-post-rock-(vedi alla voce merda)-a-caso?' e da lì ricordarci che in fondo la vita, l'universo e tutto quanto sono una infame troia infingarda e sempre deludenti e che nulla vale davvero la pena di esser provato o vissuto o che? Forse si è capito che temevo un'inculata.
Okei dokei, tutto questo riguardava il prima dell'ascolto. Ma sui Sumac mi sbagliavo.
Essi pestano. Ohssì.
E' post-sludge, atmosfera e tanto altro. I pezzi sono sì iperdilatati, ma la lentezza magniloquente che in passato Turner ci aveva fatto amare qui è giustamente messa da parte per prediligere la pesantezza di un tomo nero pece, qui abbiamo a che fare con un'amarezza più amorfa, ci ritroviamo murati dentro un misterico pezzo di ossidiana che risuona e ci tortura al ritmo di un pendolo, un atavico supporto necromantico che a cadenza regolare rarefà, rintrona e percuote con il suo mantra di crudele monotonia. Lo sconforto è lo stesso, il rito ora è solo qualcosa di più crivellato ma proprio per questo maggiormente sfaccettato e consapevole. L'incedere è mastodontico, ferino, senile, liturgico (registrato in una chiesa per un caso?), ma i blocchi di granito che ci tritano le tempie hanno un intento preciso, qua non c'è spazio per progressioni e crescendo e altre cazzate; qui Aaron sa di tenerti nel taschino già dalle prime raggelanti battute della succitata Thorn in the lion's paw (il capolavoro dell'album insieme alla title track, penso). Volete altro? Impreziosiamo il brodo malvagio con brevissimi graffiate quasi black poste sapientemente a sfregiare qua e là l'anatomia marmorea dei pezzi e fulminee detonazioni di timpani-rullante ben oltre il limite della cacofonia. Nel bel mezzo di questa ordalia il pretazzo wookie di Boston è tornato a maciullarci le cervella con le sue grida belluine, sconsolate, protoumane qui più che mai. Basta, ho finito di trivellarvi i marroni. Ascoltatevelo e bòn. Vaccamadonna se pestano.
Cheddire. Finchè la vita farà cagare, per me e per Aaron Turner c'è speranza. La via splendente del genere che gli Isis contribuirono a plasmare ce l'hanno indicata di nuovo loro, in questa nuova, maligna incarnazione. Lamenti ctoni di un universo che sprofonda ma è sempre stato lì, ed è lì sempre. Mettendo sempre più a fuoco l'Incedere, che conta almeno tanto quanto la Fine.
Il pozzo vi guarda. Salutatelo (ci tiene, sapete).

Il vostro petaloso
Zio Carne

Sumac - The Deal / 2015 / Profound Lore Records

venerdì 1 aprile 2016

IL LAMPREDOTTO PRAMZANO OKKUPATO. Live report 18/03/2016: Hate & Merda & amicici @Art Lab, Parma



Qualche venerdì sera fa io e Sancio abbiamo vinto la pigrizia e l'obnubilamento dovuto a tutta la psilocibina che ci caliamo per trascinare le nostre trippe mollicce fino al mirabolante Art Lab di Parma (non siamo di Parma diocane) per farci una sbocconcellata di sano disagio. Le Poretti 3 luppoli che avevo in panza mandano il loro sonoro plauso alla simpatica gestione del complesso di immobili occupati, nonchè all'Associazione culturale BuUUio per tutte le cosine belline che fa in giro.
La serata si preannunciava gustosa oltremodo: Loia (che non recensiamo perchè eravamo fuori a fumare e sticazzi però oh mi sembravan bravi), Lute (con cui io e Ljapah abbiamo persino suonato una sera o due nei bei tempi dell'amore libero), i belliffimi e ubertrash La Confraternita Del Purgatorio (davanti alle copertine dei vostri vinili mi sono espresso nell'unica maniera possibile, un religioso inchino e una sborada nei pantaloni) ed infine, come chiosa ad un lubrico bagno di degrado, i fantomatici e toscanaccissimi Hate & Merda. Chiassosi, urlanti e privi di speranza esattamente come nei due dischi che già avevamo spulciato a dovere; l'acustica scatologica dell'unica sala lunga e stretta come il budello di Padre Pio non ha che giovato all'atmosfera da mattatoio che il duo mette in atto.
Alla fine a Sancio hanno fatto un po' cagare ma gliel'appoggio, non è stato un miracolo di concerto. Però se, a conti fatti, questo articolo è più un espediente per parlare di gruppi troppo poco noti e ben degni di nota, bisogna rendere atto ai cari H&M che le loro due brevi e ravvicinate release devastano l'orlo. Era da tempo che non mi sentivo un così bel baccanale di diavoli e sussurri nel cervello (da un gruppo italiota poi!). E il live non è stato da meno. Dopo averci allietato per un anno esatto con il loro Anno dell'odio, venerdì ci hanno sbattuto in ghigna la Capitale del loro male. Questo è quello che fanno, e grazie al porcod'iddio niente di più. Bravi, déh!
[Questo è un live report veramente stronzolo, ci tengo semplicemente a farlo per non finire a parlarne a giugno.]
Considerazioni ultime.
I Lute non li ho manco riconosciuti, dio merda hanno perso un sacco di capelli! Comunque sempre ipppinòtigi e gradevoli.
Mi si è letteralmente rizzato l'uccello quando, nella bolgia generale, i La Confraternita Del Purgatorio hanno berciato un fenomenale "Signo' Bbbelluscooone, non è che si è bbevuto tutta la mia bbbijja!?" (dritto dritto dai più grandi pedagoghi del '900 Ciprì e Maresco, spero abbiate colto), al che io e il mio collega d'università fravecatore ci siamo sciolti in un corredo di urletti da dodicenne al primo roipnol e pugni alzati che manco ci fosse apparso Pol Pot nella tazza del cesso. D'altronde un gruppo che si professa Devotional club math spermynoise mi pare che già si meriti pompe col culo a vita.
Tanto per piazzare l'ultima ciliegina alla merda su una cagata di bufalo di articolo, alla fine mi è sembrato giusto omaggiare lo stand della Toten Schwan comprando il disco di un gruppo che NON ha suonato in serata, ossia i migidiali Preti Pedofili! E' scattato un classico protocollo C.E.P.D. (Cinque Euro Porco Dio!) e quindi taaac.

Che articolo scarso Gesù otaria. Però capitemi che sono malaticcio, e poi se tengo i Julie's Haircut in sottofondo come faccio a essere interessante? Suvvia.

Il vostro apodittico
Zio Carne


Per voi: lampredotto in salsa di cristo verde. Gnam! ed è subito nono cerchio