lunedì 29 febbraio 2016

Epodi post-core: Storm{O}


 Continuate a chiedermi di far parte di qualcosa,
l'intera mia vita il manifesto del vostro fallimento.


Il cellulare vibra in redazione, scuotendomi da un coma siderale. Ispeziono i paraggi con occhio bovino, la tempia sinistra fredda, presumibilmente immersa in un liquido alcolico di cui ignoro l'origine. Mi sollevo sconvolto come da una tomba umidiccia, la mandibola mezza lussata crocchia lasciandosi dietro un frustolo di bava e vomito. Sono sconquassato e puzzo come un morto di camorra, la scorsa notte devo essermi abbandonato alle peggiori infamie con l'ausilio della scorta di sostanze psicoattive dei miei compari. Intorno a me i resti esecrabili di un corollario delle più alte offese a Dio, alla decenza e a buona parte del codice penale. Ovunque indugiano relitti di bottiglie di sambuca, batuffoli di peli pubici, ghirlande di frattaglie sugli appendiabiti, sedimenti di bamba, carcasse di piccoli roditori. Il telefono vibra ancora, per tutti i (forse) cinque minuti che mi occorrono per investigare sull'eccidio da me compiuto mentre caracollavo in un olocausto psichedelico insieme alle entità fantasmagoriche di Rasputin, Burroughs e Cossiga tutte insieme.
 Rispondo alla chiamata, la bocca ridotta a un macinato di mastice e residuato ginecologico post-bellico. Sono Sancio e Ljapah.
"Zio Carne, è finita la pacchia."
"Come?" un lapillo di sbratto mi sfugge dalle labbra e si trasforma direttamente in fonduta a contatto col maglione; l'odore della biacca tremebonda che mi alberga in gola mi fa scuotere nei conati.
"Checcazzo hai combinato lì in sede, brutto stronzo?!"
"Mbah, non ricordo molto, devo aver bevuto come una lontra ieri" bofonchio, il palmo premuto sulla faccia per arginare l'orrore cloacale che fumiga dal gargarozzo.
SANCIO: "Sei un coiòn, Carne."
ZIO CARNE: "E' dato sap-BEURK!- sapere il perchè dio orello?"
Stavolta è Ljapah a interpolarmi. "Ma porcidèi, possibile che quando la roba te la fai tagliare da Bogdan fai sempre delle megacagate!?"
Buio, nada. Nessun campanello. Devo averla fatta grossa a sto giro.
S: "Intanto ti sei intascato i nostri anticipi per gli allucinogeni e ti sei barricato in redazione con tutti gli acidi e il resto..."
L: "E non è neanche il peggio"
Z: "Eh?"
L: (sospiro profondo) "Il punto è: dovevi pubblicare il primo articolo del blog proprio durante la prima puntata di Sanremo?"
S: "Mi devi 300 euri di bamba pezzodimme-"
L: "Un attimo Sancio vaccadio"
...ma il prosieguo non giunge ai miei centri superiori. Porcamadonna l'ho davvero fatto? Il primo articolo del possente Collettivo Metalzov, in concomitanza con la kermesse scatofagica più longeva di tutto il mondo libero? Saremo gli zimbelli della comunità satanist/hardcore/alternative/non ricchionazza!
Boccheggio. Non esistono scusanti per il mio misfatto.
L: "Se non rimedi entro oggi parlando di qualcosa di italiano e decente..."
S: "...balliamo la polka sul tuo dvd di Alex l'Ariete. Sai che lo facciamo."
Z: "No! Perdono! Farò qualsiasi cosa, parlerò bene perfino...perfino dell'ultimo dei Cani cazzo! Risparmiatemi!"
S&L: "Cazzo Zio, non diciamo che devi spingerti a tanto...per quello c'è ancora Ondarock."

Dunque eccoci qui.

Storm{O}
Sospesi nel vuoto bruceremo in un attimo e il cerchio sarà chiuso (2014)


Questo disco è spilloni d'acciaio nelle pupille, ripetutamente.
Con alle spalle solo uno split 7'' e un pregevole EP, i quattro bellunesi si spianano la strada di prepotenza nel panorama post-hc italico, ma non a suon di bestemmie (come la provenienza potrebbe suggerire), bensì sublimando e deflagrando nel giro di poco più di trenta minutozzi una sorta di manifesto d'intenti, stranamente programmatico e solido, di quanto l'attitudine urlatrice, rabbiosa, depressa e affilatissima sia ancora in grado di emozionarci e di sfasciare il culo ai passeri.
La meravigliosa e desolante copertina, assieme alla intro sospesa In volo, ci tende la manina e ci fa fissare l'abisso pronto a divorarci, il nero che avanza all'orizzonte ci dovrebbe mettere in guardia ma siamo ancora confusi...poi, la caduta nello sfacelo universale. Pochi dischi di recente (e quasi nessuno in questo genere) mi hanno investito con una così efficace alternanza di furia da ecatombe ed aperture a grandangolo di apocalittica tristezza. Qui non si stanno scimmiottando i Converge; qui si soffre, perciò ocio signori. Qui si soffiano lacrime e schifo in faccia agli Altri (che sono l'inferno, non dimentichiamolo), alla Vita e al Porchiddio tutto.
Questo disco è uscito il 21 febbraio 2014, e tuttora in confronto ad esso la maggior parte delle release math/post/emoviolence del bel paese ne esce con l'ano devastato. Mezz'ora di manate sulla ghigna, si può percepire il disagio dietro al fragore delle sferzate di chitarra e ai controtempi che non lasciano un attimo di gioia. Un disco serratissimo, denso come un macigno e sfilacciato come una delusione d'amore.
Sospesi nel vuoto si attesta sul mio personalissimo podio italiota del biennio 2013-14, momento glorioso che già di suo aveva cagato fuori un 6-7 album della sfera post-hc et similia a dir poco fenomenali (si vedano gli ottimi LeTormenta, Saudade, Lantern, Ruggine, e i Marnero che porco il papa grillotalpa hanno fatto il disco del decennio ma va bè mi son già allargato abbastanza).
Da ascoltare nel buio taumaturgico di una notte d'inverno, maledicendo tutto. Fatevi cullare dalla sconfitta, che ci ha già ghermito e stuprato a dovere. E si sbori il 2015.

Il vostro cocchino
Zio Carne

Storm{O} - Sospesi nel vuoto bruceremo in un attimo e il cerchio sarà chiuso / 2014 / Fallo Dischi, Shove, Dischi Bervisti

martedì 23 febbraio 2016

Sulle reali virtù dei minori: 1998, Aeternus - ...and So the Night Became



Ci sono minori e minori. Capita sovente che venga consigliato un album di nicchia, accessorio, il cui valore si riduce a mera curiosità, un orpello da collezionisti o da "eruditi". Insomma spesso i minori sono tali proprio perché risultano insipidi, specialmente se contrapposti ai maggiori esponenti di una scena. Non è così nel caso in cui il loro apporto formale, e sostanziale, faccia sì che sia possibile amare e comprende qualche aspetto in più della scena stessa; la caratura di una data corrente musicale (o artistica) può essere valutata anche sulla base della qualità dei lavori minori che emergono nella sua orbita.
Questo bel pippone da liquefarsi i maroni serviva a dire che sì, il Black Metal Norvegese spacca i culi, grazie al cazzo, e che tale sorprendente qualità la si può constatare anche nei suoi pupilli oltre che nei suoi maestri.
L'album degli Aeternus esce tardi: siamo nel '98 e l'anno precedente erano comparsi come funghi alcuni dei lavori più d'avanguardia della scena norvegese (La Masquerade Infernale degli Arcturus, The Linear Scaffold dei Solefald, Omnio degli In The Woods...) e sarà dell'anno dopo il primo full-lenght dei Taake, probabilmente il più rilevante tra i gruppi "di coda" del TNBM. Il nostro trio di Bergen aveva debuttato nel '95 tra le schiere della nera fiamma con un EP di grande effetto, Dark Sorcery, e nel '97 aveva rilasciato il primo album o LP ocomecazzovipare: Beyond the Wandering Moon, notevole seppur meno imponente del successivo ...and So the Night Became
Cosa dire musicalmente del lavoro in questione? Dio belva, è un lavoro che rasenta la completezza formale! Riunisce in sé alcune delle migliori qualità del sound norvegese senza rinunciare a una propria autonomia e originalità. Lo stile è maestoso ed evocativo senza essere stucchevole, grazie a un sapiente dosaggio delle tastiere, mai troppo pompose o invadenti; chitarre e batteria alla bisogna forniscono una notevole dose di violenza e tumulto salvandoci al tempo stesso dalla noia con repentini cambi, come si può ascoltare in As I March o nella title track. Numerosi arpeggi contribuiscono a sottolineare gli influssi Epic e Folk che corrono guizzando lungo tutto il lavoro, influssi che uniti alle voci in growl (fatto singolare) potrebbero far ricordare i Molested, antesignani dei Borknagar. Ed è proprio grazie a questo caleidoscopio, messo a regime da una notevole compattezza stilistica, che ...and So the Night Became fugge il destino del lavoro di maniera e diviene una sorta di summa di molte delle anime confluite nel Black norvegese: i temi epici, il folclore, il retaggio nordico, e persino quel growl a cui dovevano la propria gavetta molte tra le "Voci (della notte)".
Un ultimo appunto riguarda l'efficace e indovinata produzione merito di uno dei grandi corresponsabili del trve norwegian sound, Pytten del Grieghallen Studio di Bergen, che contribuisce più che mai a fare di questo lavoro un vero lascito crepuscolare del fuoco che illuminò il cielo della Norvegia negli anni '90. E giusto per rimuovere la lingua dal deretano degli Aeternus, diciamo anche che quest'opera fu l'ultima a raggiungere un simile livello di decenza nella loro discografia. Minori del cazzo.

Sodomized by Sathanas, sempre

Sancio Mattanza

PS
A tutto questo si aggiunga che l'edizione digipak del '98 era di quelle che si aprivano a croce, non molto diffuse, ma di grande impatto. Di queste se ne trovano ancora, magari un poco malandate, su Discogs o in giro su eBay.

Aeternus - ...and So the Night Became / 1998 / Hammerheart

giovedì 11 febbraio 2016

"I can't stand the sound of the Velvet Underground"

E’ con questa sacrilega frase che si presentano da soli gli
ART BRUT.
Made in Albione, precisamente a Londra, parliamo di un quintetto tenuto insieme appassionatamente dall’odio per le parrucchiere (viste le imbarazzanti capigliature) e dallo strano e talvolta p/baffuto frontman di dubbia natura, specie e provenienza Eddie Argos.
Costui, privo di qualsiasi capacità canora e sonora, ma con un alter ego grosso il doppio dell’amica Freddy Feedback, ci ha visto giusto e ha pensato che anziché cantare come fanno tutti gli altri caproni avrebbe potuto semplicemente raccontare delle stronzate parlando, per giunta, con uno sfacciatissimo accento “cockney”.
Mettici poi il capello unto, la camicetta stretta col bottone che tira, la panza alcolica e hai fatto centro. Sei il leader perfetto.
Perfetto anche il resto dello staff: nomi tendenti al carnevalesco (vedi Chinchilla e  Catskilkin) e una figa al basso, che rimane una mossa da dieci e lode anche se ormai consumatissima come carta igienica immerdata. Tra l’altro Freddy Feedback, questo è il suo nome, non assomiglia a una nota bassista di un noto gruppo italiano che era grassa e che ora è diventata magra e figa? Arrivateci.
Bang Bang Rock & Roll, 2005.



I testi. Banali, cazzo. Quasi noiosi. Ma esattamente il tipo di testi che vorrei fare. Magari appena un po’ più elaborati, giusto per non sembrare sbregapalle come loro. Però se non altro non parlano di metafisica e ragionamenti ostici ed illuminati. Raccontano episodi di vita quotidiana, tutto lì. Niente di che. Niente di troppo preciso. Forse nemmeno loro san bene di cosa parlano o di cosa vogliono parlare. Forse vogliono solo provocare, divertiti dal privilegio (di pochi) di poter rimanere incastrati tra due fette ben tostate ed imburrate di emozioni adolescenziali.
Non è un caso che lo scoppiettante e quasi 37enne leader del gruppo affermi di non sentire differenze adesso rispetto a quando aveva 17 anni.
Eddie e soci comunque sia oltre ad essere fashionisti sembrano essere anche echonomisti, da notare infatti e appunto l’economicità dei pezzi. Ci insegnano che basta ripetere la stessa frase più e più volte e hai fatto una canzone! Eddai cazzo di un diamine! ‘sti coglionazzi la sanno lunga in fondo.
Quando suonavo in un gruppo, anni fa, mi sarebbe piaciuto fare almeno un pezzo di “Bang bang rock & roll”. Avrei fatto “Bad weekend” perché mi piace molto il giro di chitarra, mi incastra il cervello proprio, anche se l'arguto-Argos canta sempre un po’ in stile pansy che può piacere e non piacere.
I miei soci tuttavia bocciarono l’idea. Non è facile apprezzare gli Art Brut. Specie se non te ne frega un cazzo del fratellino che ha scoperto il rock and roll (“My little brother”) o della cotta per ‘sta cazzo di Emily Kane (“Emily Kane”). Oppure se ti fa cagare l’indie, che vuol dire tutto e vuol dire niente.
Ah, così tanto per, i TARM hanno pensato bene di coverizzare e italianizzare “My little brother”, che è diventata quindi “Mio fratellino ha scoperto il rock’n’roll”, rendendola ancora più fastidiosa di quanto non sia già nella versione originale. “My little brother” è una canzone che ascolti le prime 200 volte ma poi cominci a sbuffarci sopra. O no?
Vabbè. Accantoniamo. Fatevi colpire piuttosto dalla serietà (fasulla, haha!) di “Rusted guns of Milan”. Appena sentite il pezzo penserete subito che si tratta della traccia seria dell’album, finalmente un testo impegnato che parla di sentimenti, di violenza domestica, della fame nel mondo!!!
Leggendo però quelle poche righe sputate lì a caso, il sentimento di solidarietà che a poco a poco prendeva forma dentro al vostro cuore nei confronti dell’umanità intera, si concentrerà in seguito su un unico povero pirla: Eddie Argos che non riesce a scopare per colpa dell’alcol, cazzo!
Gli Art Brut sono esilaranti. E credo che sia giusto non aggiungere altro, primo perché a forza di scrivere e correggere ‘sto cazzo di articolo ho gli occhi che mi schizzano fuori dalla testa, e secondo perché dovreste scoprire voi altri stronzetti il resto.
Concluderò dicendo solo che:
A) non credo che se Argos stesse limonando bellamente con una figa la scanserebbe veramente per alzare il volume di una canzone pop alla radio come va dicendo; 
B) a mio parere sicuramente non tutti i pezzi di “Bang bang rock & roll” sono degni di nota, ma è un album che va ascoltato e apprezzato. Altre tracce, quelle che preferisco, nella loro ingenua idiozia sono azzeccatamente rock and roll (anche se Argos si è rotto il cazzo del rock and roll). Ma in proposito dico fuck off
Anche perché, caro Argos,  la mia canzone preferita rimane “Venus in furs” dei Velvet Underground.


Taci e abbracci
Ljapah

Art Brut – Bang Bang Rock & Roll / 2005 / Fierce Panda

sabato 6 febbraio 2016

MELVINS - NUDE WITH BOOTS ovvero 2008-2015: Affinità/Divergenze tra il compagno Buzz Osborne e noi. Del conseguimento della madonna puttanà


Credo che tutto sia cominciato con Il Teatro degli Orrori.
Ora.
Calma.
Con ogni probabilità avete già uscito le lame che manco i boliviani quando gli dici "Biglietto, prego", perciò faccio un estemporaneo balzo nel vostro piccolo universo mongoloide e mi spiego in maniera lesta, che déh c'abbiamo tutti furia.
Succede che sei un liceale mingherlino e nasone, e ti piace tanto la musica; tutte caratteristiche che nella vita non è che risultino molto d'aiuto (nemmeno se prese singolarmente). Si sta parlando, per di più, di un mondo giovanile ancora traghettante tra i roboanti primi anni Zero e l'oscura china che avrebbe condotto in breve al dilagare degli youtuber-maître à penser, dell'hipster-pensiero, della carbonara di Carlo Cracco e dei risvoltini. La ricerca di un lume, dico, una prospettiva che guidasse mente e braccio al di là dei miopi rasponi quotidiani poteva rivelarsi un'impresa donchisciottesca per noi, pischelletti frastornati e confusi nel pieno di una tempesta governata unicamente dai venti capricciosi dell'angst giovanile che ancora pagava il suo tributo ai '90 e da vaghe secrezioni ormonali più o meno impervie.
La mia generazione non ha avuto quasi mai dei degni fratelli maggiori. C'è da capirli, ad ogni modo, non è che fossero tempi di vacche grasse neanche per loro: l'apogeo dei Litfiba era storia antica, delle povere carcasse dei CCCP manco a parlarne, il breve sfarzo omniaggregante del grunge lo abbiamo mancato di poco (dio can), la Norvegia era lontana (DIO CAN), Satana non voleva rispondere ai richiami... Insomma, mancava un vero faro oscuro, una corrente sufficientemente diffusa e sufficientemente borderline che conducesse i futuri disadattati, che ci insegnasse a coltivare i nostri disagi e ad esploderli in una stella danzante; i freaks in nuce dentro i nostri cuoricini reclamavano un pasto che si potesse definire tale. Se alle succitate difficoltà si aggiunge l'allora difficile accesso per i profani ad informazioni e materiale dalle scene musicali estreme (e pertanto più intriganti a palati affini ai nostri), la nostra educazione sentimentale sembrava ormai qualcosa di irrealizzabile. Occorreva incappare in un catalizzatore, in un fortuito trampolino del caso. A me è capitato.
Il preambolo vi ha annoiato? Come vi capisco, però sono cazzi vostri. Da qui comunque migliora. Tenete duro.
Per comprendere appieno il percorso irto di pericoli che un disagiato-wannabe si doveva ciucciare per soddisfare la sua curiosità (dio merda sembra un'eternità ma si parla tipo del 2007), si doveva pagare l'obolo a Lui, il traghettatore degli infelici, una figura che ha senza dubbio aiutato molte menti acerbe a schiudersi, ma che forse ha operato più nel male che altro, è l'oracolo da cui in quell'epoca arcana e spaventevole non si poteva prescindere in tema di aperture musicali, il falso profeta (ma non tipo Gesù) a cui tutti noi verginelli ci appellavamo in preda ai primi moti di ficcante curiosità (scaturita magari da un termine dal vago profumo tecnico, una parola di sfuggita su Mtv, oppure 'esempio x' dioporco non ho più fantasia): insomma noi si doveva chiedere consigli 
AL COMPAGNO DI CLASSE CHE ASCOLTAVA L'INDIE.
A posteriori sentite già un brivido, vero? BraviH. Capite in che ginepraio un povero crist(acci)o doveva calarsi per uno straccio di indicazione che gli facesse capire qualcosa dei propri gusti? 
Ma a questo punto si torna sui binari: perchè Il Teatro degli Orrori?
Perchè può capitarti di conoscere il tuo futuro gruppo preferito tramite una band del cazzo di cui hai sentito decantar le lodi da un indie-minkia di 17 anni nel 2008 (che a pensarci oggi tutta la faccenda sembra una poltiglia anale partorita dal subconscio di John Waters), per l'appunto i sopracitati ITDO, di cui, col tempo, avrei imparato ad avere paura.
I miei allora beniamini italioti, all'epoca al loro folgorante esordio (quella gemma nera mai più ripetuta che fu Dell'impero delle tenebre), vennero accostati per certi versi a questi misteriosi Melvins, che constatai con piacere essere tanto sconosciuti in ambito mainstream quanto enormemente citati come seminali/geni/ispiratori di chiunque. Mi piace, qualcosa mi risuona dentro e aumento già di 2 chili. Dalla discografia sterminata degli strani tizi scelgo l'ultimo anellino, dello stesso anno, sto cazzo di Nude with boots. Rassicurantemente buffa e naif la copertina, oggi qualche untermensch direbbe pucciosa. Ascolto. La musica non c'entra un cazzo.
Presumo che quella roba a 17 anni mi abbia dato il verderame al cervello. Era un delirio ma fottutamente divertente, come una favola di Svankmajer letta da un grassone che si piscia e si caga addosso su un monociclo. Botte in stile Trinità (porca), ascelle perlate, birra rancida e tanto, tanto marciume. Porcoddio. Mi risultò in parte certamente ermetico, ma fenomenale: ponderoso eppure risibile, cazzone ma comunque in grado di sfondarti il perineo a colpi di riff diabolici e padellate di lardo. Chi ha già bruciato di dovere il suo incenso sull'altare degli incommensurabili Melvins sa già che Nude with boots non è un disco epocale, anzi. Ma chiunque gli concederà attenzione dovrà ammettere che non si sentiva da tempo una puttanata istrionica così ben architettata. I capocomici King Buzzo e Dale Crover ci introducono tramite ritmi sincopati di doppia batteria e un registro fresco e sbarazzino (The kicking machine) in una galleria meno cavernosa e gloomy del solito, ma a suo modo sempre lievemente sbilenca e disturbante; qua si picchia più in direzione heavy nell'accezione tradizionale, ma sempre ben governando la fucina mefistofelica; non mancano i momenti più croccanti, specie per i seguaci amanti della cotica, che accuseranno reazioni pavloviane davanti a quello stupro anale su rotaie che è The savage hippy. Ultima pennellata dell'affresco, la consueta outro uberdilatata e fuori dalle grazie del cristo pappone che ci congeda con un ghigno, almeno fino alla prossima magnata di porcello coi nostri amici di Aberdeen. Il colesterolico duo ha messo a segno un altro assalto, e nonostante i (numerosi) chili di troppo non accenna a smosciarsi per un cazzo di niente. Il disco sfuma via. Fine. Sentite ancora un fruscio, ma è il vostro cervello che sfrigola come una mappatella di anelli di cipolla. Lo lasciate rosolare un altro po', poi capatina su Nubile Films e tutti a nanna. Sipario.
Questo era Nude with boots. Forse non riuscirò più ad attingere con sincerità a quelle prime impressioni, troppo il tempo dedicato a masticare la pantagruelica mole di materiale che i due adorabili panzoni hanno dato alle stampe (in larga parte superiore a questo disco, sia per ispirazione compositiva, sia per seminalità per le correnti coeve e a venire... ma ci torneremo, in un articolo più breve si spera). Ciò che conta è che questo disco riveste per me un'importanza iniziatica, pari a pochi altri in vita mia. Infatti dopo questo ascolto spaccatimpani, in ordine sparso:
imbraccio le bacchette, in un goffo tentativo di imitare la cavalcata di Suicide in progress;
vengo a sapere che sti due panzerotti avevano inventato un genere, che era lo sludge, e ne avevano reimpastati almeno altri 4 o 5mila; che erano gli idoli di un certo Kurt Cobain, bòh uno che poi si è sparato, ma fa sempre brodo; mi accosto pian piano a gentaglia del calibro di Isis, Mastodon, Boris, Black Flag, Mudhoney, Converge, "hei chi sono mai questi Slint?", il post rock, i Neurosis, da lì a Mike Patton il passo è breve, e allora giù di Mr. Bungle e niente, la via ormai è già imboccata, fai parte dei salvati, ti è andata bene e ora sai difenderti, gioisci pensando che non ti ritroverai mai a pagare 50 euro per un concerto di merda di Gigi D'Ag, dei Subsonica o cazzoneso dei Kaiser Chiefs non so più cosa dico dioporco vado in coprolalia. Il trigger, l'epifania, il battesimo del fuoco è compiuto, la via maestra è intrapresa; il cammino è lungo, ma ci sono reggimenti interi di disadattati marci e spocchiosi e cagacazzi ad aiutarti. E a distanza di anni, con l'opportuna dose di alienazione e dischi macinati, capirai di amarli. Per me è andata così, forse oggi sono anche uno di loro. Quel mondo l'ho amato. E tanto. Talmente tanto che vi ho rubato un buon dieci minuti per dirvelo.
Benvenuti su METALZOV dio maiale.

Il vostro
Zio Carne

Melvins - Nude with boots / 2008 / Ipecac