Sotto le
insistenti e pungenti istigazioni del caro Zio Carne, amico e collega eminente
ma a tratti piuttosto seccante come la muffa che togli con la candeggina ma
vien su lo stesso, mi accingo a scrivere UDITE UDITE gli ultimi due articoli di
questa prima sperimentalissima rubrica estiva.
Partiamo allora
con i Love In Elevator. E’ quasi un peccato parlarne in due righe però ci tengo
a metterli qua, in una sfuggente e personale chiusura scritta a due mani dell’estate
che fu.
Visti dal
vivo quest’estate, appunto, come spalla ai grandi Shellac. Gente dall’aspetto
insipido e trasandato, in giro dal 2004, proveniente da Venezia. Sono due? Quattro?
Non si capisce bene quanti cazzo sono perché sul palco ne ho contati quattro ma
di fatto mi sembra di capire che il nucleo originario sia composto da due soli
soggetti. Alle corde vocali una certa Anna Carazzai, a quanto pare anima del
gruppo, che dà sfoggio di una voce a tratti infantile a tratti
strafottentemente aggressiva da far paura. All’inizio sei indeciso, non sai se
ti piace o se invece cosìcosì. Però poi analizzi tutta la storia, l’atmosfera graffiante
che creano, il genere musicale che a me persoanalmente piace, un po’ grunge, un
po’ il classico post anni ’90, brevi tratti melodici… E senza accorgertene sei
ipnotizzato dalla Anna e dalle sue corde (suona pure la chitarra questa, e
raccogliendo un po’ di informazioni qua e là pare sia polistrumentista.. Che è?
La donna perfetta!).
Tra l’altro
una cosa veramente notevole dei Love In Elevator è che oltre a mischiarsi con
varia gentenonacaso, come ad esempio niente popò de meno che Francesco Valente e
Luca Ferrari, due batteristi che apprezzo molto, sono stati scelti come gruppo
spalla da band storiche come Mudhoney e Meat Puppets nei rispettivi tour italiani.
Hanno affiancato Verdena, Shellac come detto prima, addirittura gli Art Brut
(vedi articolo) e partecipato a vari festival mettendo il culo sugli stessi
palchi di gruppi del calibro di Neurosis, Turbonegro e tanti altri.
Cioè questi
spaccano il culo e se ne sono accorti tutti. Tre album alle spalle di cui uno,
l’ultimo, in italiano e per di più la Anna qua suona pure il pianoforte. Insomma
bravi, brutti e cattivi.
L’articolo è
finito, come sempre consiglio di tenerli d’occhio e beccarli da qualche parte
perché ascoltarli sul Tubo OK, ma live è n‘altra cosa, su. Bando alle ciance e
alle cazzate,
saluti.
Che c’ho da
pensare all’ultimo articolo.
Ljapah
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