martedì 5 aprile 2016

Il Notturno di Aaron Turner. SUMAC - The Deal (2015)



Gioia e jjubilo, Aaron Turner è ancora depresso!
A quanto pare la cara mogliettina Faith non riesce a imbroccare un'amatriciana che sia una, o più probabilmente i demonazzi che lo esasperavano già all'epoca in cui capitanava i mai abbastanza lodati Isis reclamano tuttora il loro retaggio di angoscia terremoto&traggedia e madonnasantoddio.
Certo è che le condizioni in cui ha versato la sua amata e coccolata creatura (la Hydrahead Records, nel caso abbiate abitato dentro una scarpa negli anni duemila) non devono aver aiutato, ma cristobastardone!, se questo è il risultato io spero solo in nuove mirabolanti disgrazie per il nostro sempremesto Aaron! :) Ma ciancio alle bande e principiamo.
Oggi si parla dei Sumac, ultima declinazione artistica dell'orsacchiotto post-metal anticristoso più ganzo di Boston. Progetto scarno sin dal nome (una spezia? Sul serio ma che cazzo è) così come nella scelta della lineup: chitarra e batteria, con un bassista-mezzo-turnista malandrino che non si sa bene quanto ce la racconta giusta gnèhhè. Scabro, lapidario pure il titolo. Dù parole.
Premetto che, da bravo scettico Isista (Isisiano? Isìaco?), accolsi con tiepidità l'annuncio della primerrima release di questo power trio guidato dall'ex capitano di ventura del quintetto che lungo lo scorso decennio ha ridato uno spessore e una dignità impensabile ad una corrente, il post-sludge più atmosferico, che sembrava aver già trovato i suoi unici araldi cosmici nei Neurosis (prossimamente su questa melma). Mi chiusi d'istinto a riccio, un po' perchè ritengo che gli Isis abbiano agevolmente detto tutto ciò che dovevano; i loro tre dischi pilastro dell'inquietudine antimodernista e dello scoramento generale (Celestial, Oceanic e Panopticon), incisivi, ultratematici e tanto freddi da far venire i geloni alle orecchie, sarebbero già stati sufficienti ad elevarli a figure culto della scena per un'intera decade; mi schermii, infine, perchè mi rugava con veemenza la minchia dato che dioboja davvero un altro gruppo con sonorità à la Isis? Dall'alto della mia placidità di vecchio stronzo non lo avrei ritenuto necessario, ecco tutto. Aggiungiamo al suddetto sentimento una a parer mio lecita perplessità per i titoli abbastanza agiografici e stucchevoli (diciamolo, POST ROCK) di alcuni pezzi, uno su tutti Thorn in the lion's paw, che hanno il potere tutto singolare di precipitare l'hype (e i coioni) anche del fan più bendisposto in quella fredda e molliccia consapevolezza che a naso sa tanto di 'dio-sperma-ma-dai-ma-checcazzo-è-il-solito-disco-dei-Collapse-Under-The-Empire-o-band-post-rock-(vedi alla voce merda)-a-caso?' e da lì ricordarci che in fondo la vita, l'universo e tutto quanto sono una infame troia infingarda e sempre deludenti e che nulla vale davvero la pena di esser provato o vissuto o che? Forse si è capito che temevo un'inculata.
Okei dokei, tutto questo riguardava il prima dell'ascolto. Ma sui Sumac mi sbagliavo.
Essi pestano. Ohssì.
E' post-sludge, atmosfera e tanto altro. I pezzi sono sì iperdilatati, ma la lentezza magniloquente che in passato Turner ci aveva fatto amare qui è giustamente messa da parte per prediligere la pesantezza di un tomo nero pece, qui abbiamo a che fare con un'amarezza più amorfa, ci ritroviamo murati dentro un misterico pezzo di ossidiana che risuona e ci tortura al ritmo di un pendolo, un atavico supporto necromantico che a cadenza regolare rarefà, rintrona e percuote con il suo mantra di crudele monotonia. Lo sconforto è lo stesso, il rito ora è solo qualcosa di più crivellato ma proprio per questo maggiormente sfaccettato e consapevole. L'incedere è mastodontico, ferino, senile, liturgico (registrato in una chiesa per un caso?), ma i blocchi di granito che ci tritano le tempie hanno un intento preciso, qua non c'è spazio per progressioni e crescendo e altre cazzate; qui Aaron sa di tenerti nel taschino già dalle prime raggelanti battute della succitata Thorn in the lion's paw (il capolavoro dell'album insieme alla title track, penso). Volete altro? Impreziosiamo il brodo malvagio con brevissimi graffiate quasi black poste sapientemente a sfregiare qua e là l'anatomia marmorea dei pezzi e fulminee detonazioni di timpani-rullante ben oltre il limite della cacofonia. Nel bel mezzo di questa ordalia il pretazzo wookie di Boston è tornato a maciullarci le cervella con le sue grida belluine, sconsolate, protoumane qui più che mai. Basta, ho finito di trivellarvi i marroni. Ascoltatevelo e bòn. Vaccamadonna se pestano.
Cheddire. Finchè la vita farà cagare, per me e per Aaron Turner c'è speranza. La via splendente del genere che gli Isis contribuirono a plasmare ce l'hanno indicata di nuovo loro, in questa nuova, maligna incarnazione. Lamenti ctoni di un universo che sprofonda ma è sempre stato lì, ed è lì sempre. Mettendo sempre più a fuoco l'Incedere, che conta almeno tanto quanto la Fine.
Il pozzo vi guarda. Salutatelo (ci tiene, sapete).

Il vostro petaloso
Zio Carne

Sumac - The Deal / 2015 / Profound Lore Records

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