giovedì 2 giugno 2016

"Hana mana ganda / Perchè lui dice augh?" Nechochwen - Heart of Akamon


I pellerosse mancavano, devo dirlo.
A voler essere fiscali c'era già stato qualche tentativo, ma al momento mi vengono in mente solo i Blood of the Black Owl usciti sempre sotto Bindrune Recordings (la stessa che ora ha sotto contratto i Panopticon) e i precoci – orpo, era il '92! – Xibalba, che però cianciavano di Maya e affini. 
Ero partito ben disposto nei confronti di quest'album per via di un entusiastico commento, letto chissà dove, di A. Lunn (il signor Panopticon) il quale deve aver disegnato anche il logo dei Nechochwen. Beh, in effetti il nostro duo, oltre a saper scegliere una copertina, dimostra una padronanza notevole nell'accostare un folk (non così spiccatamente indiano, invero) e un black assai brioso e mai anusofsatancvlt. Le sonorità non sono innovative se si vuole, ma hanno una freschezza di composizione e arrangiamenti notevole. Grazie a repentini passaggi tra un movimento musicale e l'altro Heart of Akamon si conferma come un disco particolarmente riuscito, che se mi son disturbato a recensirlo vorrà pur dire qualcosa dio efebo.
Entriamo un poco di più nel merito della musica: a uno scream dignitoso si accostano un cantato pulito e cori vari che strizzano l'occhio ai fasti norvegesi, il che non guasta mai; le chitarre, – degne di nota – a volte hanno accenti che ricordano quelle dei Drudkh, come nel riff che parte verso la metà di "Lost on the Trail of the Setting Sun", altre volte si avvicinano ai lavori degli Agalloch o dei Panopticon, ottenendo tuttavia dei risultati originali; la batteria ha un'architettura armonica, niente blast beat a cazzo di cane nascosti dietro ogni angolo, ma quello che ci vuole quando ci vuole. Sporadicamente compare pure un flauto costipato (altri direbbero "minimalista"), ma considerando che lo suona il chitarrista cantante compositore glielo si può condonare come peccatuccio veniale. 
Menzione di merito va ai testi, assai pregievoli, incentrati su cultura e peripezie varie dei nativi americani. Nel libretto ogni canzone ha il suo bel spiegone, che in genere se lo potessero ficcare nel baugigi, ma stavolta no, ci sta, come una ghirlanda di scalpi all'entrata di un tepee.
Tirare le somme è semplice. Heart of Akamon si affida a un tema in larga misura innovativo per il black (anche per quello made in Cascadia) e lo sviluppa bene, seguendo una parola d'ordine: varietà. Ed è difficile stufarsi di andare su e giù per le rapide di questo album, intervallate da trip sciamanici e assalti a rotta di collo ululando a Manitù.

Danzando intorno al fuoco con Giglio Tigrato, il vostro
Sancio Mattanza

Nechochwen / Hearth of Akamon / 2015 / Bindrune Recordings

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